Inserisco questo mio racconto, l'unico del genere per quanto mi riguarda, e ricordo che avevo provato un piacere enorme quando avevo appreso di essere stata selezionata per l'antologia. Pochi i vincoli del bando di partecipazione, oltre quello della brevità; il racconto doveva essere: ambientato in Italia, in un'epoca futura e ben lontana dalla nostra e, rigorosamente, doveva parlare di un robot. Io ne avevo scelto uno non tanto elettronico, anzi...
Stazione Roma-Termini, 23 dicembre 2051, ore 15.45.
«Il giocattolo si è rotto!» così diranno. Sì, a volte succede. Solo a volte, però.
E succede perché ciò può essere incluso nella statistica.
Quella dei piccoli numeri. Il mondo non li considera mai, se non in caso di errore.
Che stupidità.
Ci pensano solo quando è troppo tardi.
Sono un gingillo perfetto, programmato alla perfezione, questo hanno sempre pensato e pensano di me! Quasi.
Stringo, ancora in mano, la macchinina che questo bimbo mi ha chiesto di tenergli. Mi sorride, mentre corre davanti a me e alla madre. Pensando che stanotte non dormirà nel suo lettino, qualche ingranaggio mi si è inceppato, eppure… ero stato ben programmato con un codice che conosco a memoria. Avevo il mio alfabeto, quello indotto, che mi consentiva di agire come loro volevano.
Ero il migliore.
Il più preparato, il più motivato.
E il più coraggioso.
Motivato perché mi aspettava una bella missione contro il Bel Paese, l’Italia, dove mi trovo, ormai, da qualche anno. Ma questo solo per non destare sospetti. E poi, la mia famiglia che è lontana avrebbe mangiato per una vita.
Io non più.
Prima non m’importava. Ora sì, eccome. E tutto grazie a questo bimbo che mi sfreccia ancora davanti! Ah, viene verso di me. «Puoi ridarmi la mia macchinina? Sono stanco di correre!»
«Ma certo, tieni.», rispondo.
«Fallire sarà impossibile.», mi dicevano loro. Lo pensavo anch’io. Ma qui ho trovato amici, una casa, mangio la pizza il venerdì, ascolto il rumore del vento, anche se c’è traffico. Ho le scarpe quasi nuove, studio e, forse, un giorno m’innamorerò.
La stazione: ora di punta, festività natalizie. L’obiettivo Roma l’avevo scelto io: città che, ormai, considero mia.
Mancano tredici minuti.
Un bottone da premere e tutta questa gente che mi sfila davanti la dovrei portare con me? Trascinano inconsapevoli i loro trolley, valige, borsoni, attaccati a tecnologie e pensieri che li rendono depressi o, delle volte, se vince la loro squadra di calcio, li vedi al massimo della felicità.
Strano popolo, questo!
La stazione brulica come un formicaio in queste giornate prefestive. Eppure, in mezzo a loro riesco a sentirmene parte. Perché?
Nome in codice: Robot KZ01-Andros, una delle cellule che deve colpire nel mondo. Come fu anche per il nonno paterno, l’11 settembre 2001. E, oggi, nulla è cambiato.
Ore 16.00: programmato alla perfezione per la mia missione, quella tanto attesa. Per lunghe notti a pensarla, a vederla come un video proiettato a rallentatore sulla parete di fronte al mio letto. Per anni mi sono esercitato nel mio Paese, immaginando questo giorno.
Robot: questo sono io, quello pronto a colpire.
Durante le esercitazioni e l’allenamento ero sfinito quando andavo a dormire. Anche lì arrivava l’alba, diversa da questa romana, e che mi apriva gli occhi a un rinnovato giorno di fatica; anche alla prova più dura, pronto a mangiare polvere, a sudare, ma mai ad asciugare lacrime.
Ho imparato a costruire altri ordigni umani. Kamikaze pronti a farsi esplodere, come me, per una causa sentita; talmente calata nel profondo da essere assorbita in un cono d’ombra impossibile da illuminare per vederne il fondo.
Fino a pochi minuti fa.
Ero solo un sistema di ingranaggi perfetti e quindi un automa che mai aveva dato segni di possibili fallimenti.
Loro mi uccideranno, ma è troppo bello stare qui, finché durerà.
Ho appena modificato l’alfabeto e l’ordine dei messaggi precostituiti.
Sarò l’unico del gruppo che non schiaccerà questo bottone e cambierò la sorte di chi sarebbe morto con me, senza neanche aver il tempo per comprendere che stava giungendogli la fine.
KZ01-Andros vs ITA: missione fallita.
Sarò l’unico Robot auto riprogrammatosi per non morire qui e non… uccidere.

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